Per creste dai Piani di Pezza a Campo Felice

Una lunga traversata totalmente in cresta, Il Velino sa regalarti esperienze speciali.
Dai piani di Pezza per l'incantevole Costa delle Cerasole, poi una fila infinita di vette e selle viaggiando sempre sopra e sotto i 2000 metri, vasti e potenti i panorami, ora sulle piane che abbiamo intorno, ora sulle ruvide e aride montagne del Velino. Il tanto dislivello e qualche chilometro in più valgono ogni passo fatto.


La prossima volta facciamo una traversata in montagna! Quando a chiedertelo è un fratello ci si mette subito al lavoro ed inizi a buttare giù un ventaglio di possibili mete. Problemino: lui ama spostarsi in moto, e la cosa rende l’organizzazione logistica un po’ più complicata, il recupero del secondo mezzo, e ancora prima e soprattutto il parcheggio per tutta la notte della moto in una zona isolata non è affare semplice da gestire, è un po’ come lasciare un figlio abbandonato in una landa deserta; recuperare inoltre il secondo mezzo in moto quando si è in quattro diventa cosa ancora più improbabile per cui qualche slalom nell’organizzazione logistica e nell’individuazione di un percorso adatto lo abbiamo dovuto fare. Troppa distanza tra i due mezzi non dovevamo metterla dal momento che si sarebbe tramutato in un dispendio doppio di tempo (A/R sia la mattina che il pomeriggio), l’idea era quella di lasciare la moto nei pressi della fine della traversata e con questa continuare col recupero dell’auto per ritornare poi a prendere il resto della comitiva. Era una condizione importante che creava non pochi problemi nell’individuazione di un percorso adatto, ed è stata Marina a tirar fuori l’idea, da uno dei suoi cavalli di battaglia sulle montagne del Velino; io poi l’ho solo corretta, allungata, resa di fatto una traversata vera e propria come era nei desideri. Idea originale era quella di raggiungere il rifugio Sebastiani partendo dal rifugio il Lupo dei Piani di Pezza e rientrare dalla piana stessa; l’ho trovata però complicata da attuare sia perchè la mia berlina è bassa da terra (per il ritorno saremmo stati in quattro …), sia perchè la moto da strada non avrebbe permesso un’agevole traversata della piana, e non da ultimo ho immaginato l’eventuale rientro a piedi eccessivamente noioso e caldo; ho quindi spostato punto di arrivo dell’escursione a Campo Felice, nella zona degli impianti, continuando il giro dopo il Sebastiani seguendo tutta la dorsale della Cimata di Pezza. Lo abbiamo fatto, ma come si dice ad Ascoli me ne sono forse passato, in chilometraggio, 16 alla fine sono stati, e in dislivello (1470m.), alla fine per chi frequenta poco la montagna sono numeri davvero importanti. Non mi hanno preso a calci per cui alla fine in qualche maniera l’ho sfangata. Abbiamo dormito in un B&B ad Ovindoli, in tempo di Covid la piana delle Rocche è risultata praticamente sold out; raggiungiamo Campo Felice con entrambi i mezzi, lasciamo la moto e ritorniamo al Piano di Pezza per iniziare la lunga sgroppata di cresta, alla fine saranno otto vette oltre i 2000m., un su e giù infinito ma mai estenuante, sempre panoramico e mai complicato da passaggi difficili. Una sorta di battesimo del fuoco per mio fratello e la compagna e un impegno non da poco anche per noi che stentiamo a riprendere forma. Fermata l’auto nei pressi della vecchia miniera, attraversiamo la piana per prendere la traccia già intuita da lontano che sale per Costa delle Cerasole, la maniera più docile per salire in quota; Costa delle Cerasole è il solito giardino con vista, un piacere per gli occhi e non solo, una facile salita che avvicina al limite dei 2000m. senza far sputare sangue. Usciamo dal bosco nei pressi della dorsale (+1,20 ore) e da subito le linee del Magnola e della Costa della Cerasa diventano il nostro vicino orizzonte, tra radure di Ginepri e boscaglia la percorriamo tutta fino a virare verso Ovest sulla testata della valle del Ceraso(+35min.) dove ci fermiamo all’ombra di un basso faggio. Da quando siamo usciti in cresta una brezza leggera non ci ha più abbandonato, contiamo che rimanga tutto il giorno e che magari più in alto trovi anche modo di rinforzare. Due salti di dislivello repentini ci aspettano prima di toccare la linea di cresta, sono evidenti davanti a noi, lo sperone in testa alla valle del Ceraso, un bel pulpito dove è bello affacciarsi e la pagina inclinata della Cimata della Cerasa, il primo lo raggiungiamo agevolmente su traccia marcata mentre per raggiungere la Cimata preferiamo tagliare un po’, seguire il sentiero per il Vado di Roscia Grande e poi salire gradualmente seguendo la linea di cresta. Dalla vetta della Cimata (+40 min.) il panorama è vastissimo, la giornata calda impedisce grandi orizzonti per cui sono sfocate le lontane montagne del Gran Sasso e della Majella, il fratello si è dovuto accontentare dei profili più vicini delle montagne del Velino. Seguendo la linea di cresta è stato facile toccare la cima della Costa della Tavola (+25 min.), ancora più panoramica dal momento che si erge sopra profondi valloni boschivi; sostiamo poco, il tempo di una foto, ripartiamo puntando gli arsi profili del Velino ad Ovest, scende dolce il largo filo della dorsale che atterra sul Vado di Castellaneta, splendida sella che divide l’enorme Valle della Genzana a Sud da quella articolata che scende verso Nord, direzione piani di Pezza e che si insinua tra i profili della Castelluccia e del Colle delle Trincere. Tutte le volte che mi sono trovato su questa sella ho sospirato la salita che mi toccava da li a poco, anche oggi mi è parso irto lo spigolo di Capo di Pezza, e come sempre una volta sopra mi sono dovuto ricredere, era più arduo pensarlo che farlo. Non affrontiamo lo spigolo di petto, tagliamo sulla sinistra direzione Costa Stellata senza seguire la traccia che sale diretta, approdiamo sulla dorsale per poi seguirla fino alla cima dove resiste sempre la semplice e bella croce in legno che si erge sul più classico degli omini di montagna (+35 min.); una delle più belle e panoramiche cime del gruppo del Velino, quasi intima nella sua centralità. L’impatto coi ruvidi profili delle montagne che abbiamo di fronte, ora molto più vicini e molto più imponenti, è sempre forte, un insieme di vette e di ghiaioni si allungano e sovrappongono su piani diversi, Cimata di Fossa Cavalli, cima Avezzano, il Cafornia, e sua maestà il Velino, il vastissimo vallone della Majelama, immenso e profondissimo, l’occhio non riesce a fermarsi su nessun dettaglio, è tutto tanto, troppo, infinitamente enorme. Tutto è anche familiare eppure non stanca mai tornarci, sono quasi geloso delle emozioni vergini che devono provare mio fratello e la sua compagna, mi sforzo di ricordare le mie e quel senso di stordimento che sono certo aver provato ma sono ricordi lontani per assaporarne i dettagli. All’ombra della croce (si fa per dire) consumiamo la nostra prima vera sosta, ci rifocilliamo, siamo a poco meno della metà del percorso e ancora tanti sali e scendi ci aspettano oltre che una bella manciata di chilometri. Ci consola e rassicura il vento che regge splendidamente, bello, teso e fresco, è una manna dal cielo e almeno, fino ad adesso, non ci ha fatto sentire il calore della giornata estiva. Davanti c’è una lunga cavalcata prevalentemente in cresta, molto panoramica e aerea, subito affronteremo le due vette principali della giornata, in ordine Punta Trieste 2230m. (+40 min.) e poi punta Trento (+50 min. da P. Trieste), la più alta coi i suoi 2243m.; tra le due una profonda sella, una discesa ripida e inevitabilmente una faticosa salita, le distanze sono corte, per fortuna entrambe durano poco, quello che basta però per far venire a galla un po’ di stanchezza. Sostiamo poco su entrambe le vette, il tempo per memorizzare il panorama che ci segue da Capo di Pezza sempre simile ma mai uguale tante sono le angolazioni diverse del percorso; cominciavano ad addensarsi nuvoloni inquietanti, lentamente si andavano stratificando da Ovest e non promettevano niente di buono, preparo nella mia testa la possibilità di una via di fuga dal vicino Colle dell’Orso verso i Pani di Pezza, al primo tuono si tagliava la corda. Evitiamo di scendere da Punta Trento per la linea ripida dello spigolo che segue solo Marina e atterriamo dolcemente nei pressi di una palina segnaletica sul sentiero che proviene dal monte Bicchero; svoltiamo a destra, il sentiero traversa con pochi e leggeri cambi di pendenza finendo per raggiungere Colle dell’Orso (+20 min.). Le nuvole non sembrano farsi minacciose oltre misura, decidiamo di continuare col progetto iniziale; intuiamo da lontano i due traversi sotto il Costone che raggiungono il rifugio Sebastiani, scegliamo di percorrere quello alto e ci muoviamo per raggiungerlo; frequenti segnaletiche e grosse scritte sulle rocce lungo la cresta non lasciano spazio a dubbi, dopo un ultimo sguardo sulla enorme valle dei Briganti e sulla fessura della Val di Teve che da qui si fa vedere solo nell’imbocco, prendiamo a scendere. Tagliamo la testa della valle su un sentiero prevalentemente ghiaioso per poche centinaia di metri e quando scavalliamo la dorsale che scende dal Costone siamo in vista del rifugio Sebastiani, recintato per via dei lavori di ampliamento cui lo hanno sottoposto e per questo inevitabilmente chiuso; sostiamo poco lontano (+20 min.) sui tavoli pic-nic del rifugio per una meritata sosta e per mettere di nuovo qualcosa sotto i denti. Siamo tutti provati, visto quello che avremo ancora davanti mi rassegno a pensare di aver davvero esagerato nel coinvolgerli in questo progetto, ma tanto siamo tutti stanchi che nessuno vuole mollare; l’idea di scendere sui Piani di Pezza anche se accorcerebbe un po’ il giro riducendo di tanto il dislivello della giornata non alletta nessuno per via della lunga e noiosa traversata del piano, non rimaneva che riprendere il giro in cresta; scendiamo sotto il rifugio fino alla sella e prendiamo immediatamente a salire sullo spigolo roccioso della Cimata del Puzzillo, è il tratto più esposto della giornata, lo affrontiamo stanchi ma non sorgono problemi, si rimane sempre su un sentiero marcato anche se per tratti brevi tratti leggermente sul filo, qualche passaggio semplice in cui occorrono le mani, qualche altro in equilibrio su grossi blocchi e siamo in vetta (+40 min.). Le prospettive sugli orizzonti cambiano ancora, i Piani di Pezza si stendono ora in lunghezza verso Sud mentre dalla parte opposta si apre la piana del Puzzillo con qualche apertura sulla piana di Campo Felice. Intorno ai piani di Pezza, scritto come fosse su un foglio di carta bianca, si legge benissimo tutto il profilo della traccia che abbiamo seguito dalla mattina e che dovremo seguire per chiudere, si leggono benissimo tutte le cime salite e da salire. Davanti ci scorre, a chiudere i piani di Pezza, la sinuosa dorsale della Cimata di Pezza che devo dire ricordavo più piatta e con meno dislivelli; sarà la stanchezza che bussa ormai decisamente alle gambe ma mi sono sembrate poco banali le salite sulle successive due cime che dovevamo affrontare; lontane tra loro e con dislivelli più alti da superare di quello che ricordavo si profilano la vicina Cimata di Pezza e l’anticima Est della stessa cima, nel mezzo le selle da scendere prima e salire subito dopo; punta dell’Azzocchio è talmente lontana che risulta indistinguibile nel mare di piccole e continue cimette che formano questa dorsale. Una ad una le prendiamo di petto, rallentando quello che bastava per mantenere comunque un bel passo, su e giù, per giunta con degli spostamenti sinuosi su una dorsale che sempre nei miei ricordi doveva essere quasi rettilinea; i ricordi erano falsati, le distanze pure così come i dislivelli, la stanchezza era reale e la preoccupazione che questa stesse diventando un problema per i miei compagni di gita diventava ad ogni passo un fardello. Raggiunta Punta dell’Azzocchio (+1,20 ore) mi affaccio per cercare la via di discesa che ricordavo aver visto quando salii dalla piana, avremmo dovuto scendere lo spigolo Est per intercettare una traccia che si buttava sulla destra a tagliare la testata del vallone per atterrare dentro la valle sottostante e raggiungere le sterrate là sotto; Marina ha suggerito di continuare per cresta fino al Colle del Nibbio e da li scendere sulle piste da sci, facendo così non avremmo più avuto problemi di scelte sulle tracce da seguire e magari avremmo evitato qualche ravanata imprevista fuori sentiero e dentro il bosco; al contrario andavamo in contro a linee di discesa certe e rassicuranti per i nostri compagni e non da ultimo saremmo atterrati nei pressi degli impianti dove avevamo parcheggiato la moto. Ha vinto la saggezza di Marina, a parte qualche tratto ripido delle piste che ha messo a dura prova le ginocchia la discesa è stata scontata, abbiamo smesso di pensare ed era solo questione di mettere un piede davanti all’altro. Atterriamo a Campo Felice (+1,20 ore) esattamente poco sopra l’area di parcheggio dove avevamo fermato la moto, stanchi, qualcuno stremato ma tutti comunque felici di aver chiuso questo lungo e panoramico anello. Non invidio mio fratello che deve mettersi alla guida della moto, in 20 min. raggiungiamo i piani di Pezza, altri 20 e siamo di ritorno, tutto è andato più o meno come previsto. Tirando le somme ho commesso due errori di valutazione, uno considerando che mio fratello e la compagna non sono avvezzi a questi grossi giri è stato forse grave; avevo previsto una distanza da percorrere tra i 14 e 15 chilometri, alla fine sono stati 16, poco male; avevo calcolato invece un dislivello totale da superare di circa 1200m, alla fine sono diventati quasi 1500 e per chi in montagna ci va poco deve essere stata una bella prova. Bravi tutti quindi, questi numeri superati in 9 ore e mezza il 3 di Agosto sono davvero importanti. Due parole su questa traversata vanno però dette: è strepitosa, punto. Un mare di cime da superare, creste panoramiche che viaggiano alte sugli stretti piani di Pezza e alla fine anche sulla piana di Campo Felice ed il vallone del Puzzillo, si rimane per un po’ in bilico su una delle valli più profonde e incassate dell’Appennino, la Majelama, vista sui ghiaioni, sulle ripide e irte pareti del Velino, montagne e selle che si rincorrono, un unico rammarico, la poca o quasi nulla visibilità degli orizzonti lontani, ci fossero stati questi sarebbe stata una escursione al top. Possiamo ritenerci in ogni caso ampiamente soddisfatti. Grazie anche ai miei compagni di camminata per non avermi preso ad insulti una volta atterrati a valle, forse dentro ognuno di loro qualche istinto primordiale è stato spento solo dal calcolo utilitaristico del risparmio delle energie. PS: forse l’eccesso di acido lattico, forse la poca lucidità dovuta alla stanchezza, lo stesso che propose la traversata ha buttato là un invitante … la prossima saliamo fino all’Amaro in Majella? Una provocazione o ci ha preso gusto?